A2 M – Olympic Roma, intervista a Mario Andolfi

Mario Andolfi: «Mai smettere di provare. All’Olympic ho trovato una famiglia»

Inutile sprecare righe a fare presentazioni. Il prof. Mario Andolfi è conosciuto da tutti nel mondo dello sport, non solo della pallanuoto. Persona eccezionale, sincera, sempre solare e positiva. Venti minuti di chiacchierata al telefono con lui sono stati semplicemente illuminanti. Oro olimpico con il Setterosa ad Atene 2004, Campione d’Italia con la Roma Inassitalia nel 2000, oggi Andolfi è preparatore atletico delle giovanili dell’Olympic Roma.

Probabilmente – anzi, sicuramente – i ragazzi che ha per le mani nemmeno immaginano la fortuna che hanno. Mario è un signore dello sport, un uomo di una cordialità infinita, con l’umiltà di chi non ha fatto nulla nella vita e ha tutto da imparare. A 72 anni, invece, di cose ne ha fatte e nemmeno poche. «In primis», ci dice, «sono un nonno a tempo pieno. Accompagno i miei nipoti a scuola e a fare sport, li seguo ovunque e questo mi dà una grande gioia».

Già qui la prima perla: «Ieri sera ho portato mio nipote a calcio e mi sono fermato a guardare gli allenamenti. Mentre osservavo, mi sono venute in mente tante idee di come applicare alcuni esercizi in acqua: non vedo l’ora di andare in piscina oggi per sperimentare il lavoro insieme ai ragazzi». Proprio questa è la grande forza di Mario: «Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo, in generale. Mi piace provare e riprovare: non passa giornata che non scopra qualcosa da applicare il giorno dopo».

È proprio questo il principale motivo che lo allontana dalla pensione, così come essere a contatto con i giovani: «Lavorare con i ragazzi è una cosa bellissima. Anche in passato – da dipendente CONI – ho rinunciato a una carriera amministrativa. Sarebbe stata di sicuro più remunerativa, ma meno stimolante: volevo rimanere a contatto con le persone e soprattutto con i giovani».

Sull’attuale esperienza all’Olympic Roma: «Qui spero di chiudere la mia carriera. Ho trovato persone semplici, umili e oneste intellettualmente. Parlo proprio di tutti, dal primo all’ultimo: sono contornato da belle persone e la cosa mi fa grande piacere. Mario e Luca (Fiorillo, ndr) li conoscevo già, Max Fabrucci è stato una grande scoperta. Persona per bene, collaborativa, umile: un piacere lavorare con lui. Senza dimenticare Vincenzo (Donati, ndr), splendido organizzatore».

Riassume ridendo: «Se mai un giorno sarò presidente di una squadra, chiamerei al completo proprio questo staff». Sul passato con nome Roma 2007 Arvalia: «Ci tengo a ringraziare anche Enrico Di Santo: nelle due occasioni in cui abbiamo lavorato insieme, mi sono sempre trovato benissimo». Ancora sull’Olympic Roma: «Dopo le due sfortunate esperienze con Roma Nuoto e Lazio – in cui ho avuto bellissimi rapporti con allenatori e ragazzi, ma pessimi con i dirigenti – devo dire che sono approdato proprio in una bella società».

Ma a 72 anni cosa lo spinge a continuare? «Ho ancora il piacere di fare questo lavoro. La spinta è una sola: mi diverto. Le mie figlie ogni tanto mi ricordano di guardare la carta d’identità. Ma mi sento bene: ancora mi alleno e sfido i miei ragazzi a una gara di trazioni. Non sanno che entrano in un campo difficile per loro. Non sono ancora riusciti a battermi».

I progetti per il futuro però sono ancora più ambiziosi: «Vorrei scrivere un libro. Ho già deciso il titolo: “Allenare: una saggia improvvisazione”. È una frase che racchiude tutto il mio credo: non può esistere un giorno uguale all’altro, allenare è un continuo cambiare. Anni fa ho abbandonato il nuoto proprio perché mi costringeva – per forza di cose – a essere ripetitivo. E mi annoiavo. La pallanuoto, invece, è perfetta per avere sempre stimoli nuovi, così come il sincronizzato, con cui ho collaborato per due Olimpiadi. Variare, cambiare, provare, sperimentare: tutto questo mi rende vivo».

La telefonata va avanti, ascoltare Mario è un piacere: «A me piace comunicare quello che provo e sperimento. È bello rendere partecipi gli altri delle proprie esperienze e ricevere dagli altri le loro. Solo così ci può essere una crescita importante. Nella mia carriera, ho trovato tante persone che hanno curato solo il proprio orticello: pensando di fare un torto agli altri, lo hanno fatto a loro stessi».

Ma con chi si è trovato meglio da questo punto di vista? «Con Mario Fiorillo da sempre c’è grande scambio e collaborazione. Adesso anche con Max Fabrucci, ci piace parlare del nostro lavoro. Negli anni passati – oltre che con Formiconi, a cui sono molto legato – ho lavorato bene da questo punto di vista con Maurizio Mirarchi e Roberto Gatto. Tecnici preparati e belle persone».

Una domanda ci sorge spontanea: dopo Olimpiadi, uno scudetto e innumerevoli anni di serie A, cosa ha spinto Andolfi a tornare a lavorare coi ragazzini? «Il loro entusiasmo», risponde subito Mario. «Se mi avessero offerto un’altra prima squadra, forse non l’avrei presa. Già da quando lavoravo in altre piscine, ho sempre sostenuto che un allenatore per crescere deve variare. Sono contento che questa cosa l’abbiano ribadita poi anche Trapattoni e più ultimamente Guardiola».

Nello specifico, «un allenatore – durante la sua carriera – deve tornare a lavorare con le categorie giovanili e rimettersi in gioco. Riabbracciare il piacere, il gusto, la tecnica e la metodologia di lavorare con i giovani. Non si può fare solo l’allenatore. Dobbiamo rimanere in contatto con la realtà di essere istruttori, maestri di tecnica. Non si può solo lavorare con i senior».

Il rischio più grande di un allenatore «è andare con il pilota automatico. Con il Setterosa – e con altri campioni – mi è capitato. Mai farlo: questo ti porta ad abbassare la guardia e a impigrirti. Bisogna sempre avere nuovi stimoli, senza mai considerarsi bravi quando i nostri atleti sono bravi. Gli atleti sono bravi perché lo sono loro e, forse, lo sarebbero anche senza di noi».

Il monito per chi inizia questo lavoro: «Affrontare tutto come una routine non ci fa accorgere nemmeno degli errori che commettiamo. La sfida è cambiare ogni giorno: con il Setterosa ho vinto le Olimpiadi, con la Roma uno scudetto, ma ora i miei ragazzi mi danno tantissimi stimoli. Non li considero come un passo indietro, ma come due in avanti. A proposito: sono proprio curioso di vedere come risponderanno a quegli esercizi del calcio che ho visto ieri sera…».

 

Andrea Esposito
Responsabile Comunicazione Olympic Roma

image_pdfSalva in PDFimage_printStampa il contenuto